“Il rifiuto alla Juve? La nostalgia non c’entra niente” | Felipe Anderson, intervista ESCLUSIVA DOTSPORT a Cribari
Il calcio sta cambiando. Forse è già cambiato. In tutte le zone del mondo. Il Brasile non sforna più i giocatori tutta tecnica che invece erano frequenti qualche anno fa. Anche per questo il Palmeiras, attualmente la squadra più importante della nazione (recentemente ha vinto la Copa Libertadores e il campionato) si è affidata al 31enne Felipe Anderson, strappandolo alla Lazio dalla quale si svincolerà.
“Quella relativa al suo trasferimento è stata la notizia principale su tutti i giornali – ha spiegato in esclusiva ai nostri microfoni Emilson Cribari, alla Lazio dal 2005 al 2010 -. Viene visto come uno degli acquisti più importante degli ultimi anni del Palmeiras. E parliamo di una squadra che sta dominando qua in patria. Il club ha potenziale economico”.
Pensa abbia inciso sulla scelta del giocatore la nostalgia del Brasile?
“Incide la distanza da casa, ma in Italia Felipe è cresciuto e si è realizzato. Quindi secondo me non è una scelta dettata dalla Saudade”.
E come se la spiega?
“Vuole la nazionale, vuole partecipare al Mondiale. Il Palmeiras per attirare l’attenzione dell’attuale commissario tecnico è meglio anche della Juventus, altra squadra che era interessata a Felipe. Secondo me la sua quindi è una scelta ambiziosa”.
Cosa fa lei adesso?
“Gestisco una scuola calcio per bambini/ragazzi dai 4 ai 16 anni. La scuola calcio si chiama C25 Soccer Academy. La “C” è l’iniziale del mio nome, il 25 è il numero di maglia che indossavo alla
Lazio. Siamo molto soddisfatti del lavoro che stiamo svolgendo: ci sono circa 400 ragazzi che si sono affidati a noi. Stiamo attenti non solo al lato tecnico ma anche a quello educativo. In
generale però le nuove generazioni un po’ mi preoccupano”.
Si spieghi…
“Credo che la mia sia stata l’ultima generazione di leoni. Ne parlo spesso anche con qualche mio ex compagno. Oggi non c’è più la stessa passione, la stessa fame. Molti ragazzi giocano pensando ai soldi che potrebbero guadagnare o ai social. Si cerca la visibilità personale, la squadra e l’amore per la professione vengono messi in secondo piano. Io ho giocato con la faccia rotta perché la squadra aveva bisogno di me e amavo la maglia. Ora se piove i ragazzi non si vanno ad allenare. Se si allontanano dai genitori spesso si dimostrano fragili mentalmente e tornano a casa, rinunciando al sogno e alla passione”.